IL RICONOSCIMENTO DI DEBITO VIA WHATSAPP
In un’epoca in cui la tecnologia cresce sempre più rapidamente e i mezzi di comunicazione sono molteplici, andandosi ad aggiungere alle e-mail e alle sempre più classiche lettere a mezzo posta, una domanda sorge spontaneo porsi: quanta rilevanza può avere ciò che scriviamo in una chat WhatsApp, Telegram, ecc.?
È possibile che un debito sia riconosciuto per mezzo di una messaggio WhatsApp? E questo, che valore ha?
Una recente sentenza del Tribunale di Ravenna è intervenuta nel merito condannando una donna a restituire una somma di denaro all’ex amante basandosi sul contenuto di una conversazione WhatsApp intercorsa tra i due e prodotta in giudizio.
Nello specifico, dai messaggi si può chiaramente evincere di come la donna si sia obbligata a restituire, in rate mensili, predetta somma all’uomo.
Parimenti, sempre grazie ai messaggi scambiati tra i due, il Giudice aveva potuto appurare che tra gli stessi non sussisteva alcun rapporto di convivenza more uxorio, ovvero di fidanzamento ma che si trattava di una mera relazione amorosa di poco conto.
Pertanto, lo scambio di denaro avvenuto tra le parti è tato considerato a tutti gli effetti un prestito, con il conseguente obbligo di restituzione della somma.
A fronte di tale sentenza, quindi, appare chiaro che il messaggio inviato a mezzo WhatsApp con il quale si afferma di aver un debito verso un soggetto equivale ad un riconoscimento del debito ex art. 634 c.p.c..
Ciò che ne consegue è che bisogna sempre prestare molta attenzione a ciò che si scrive nella chat WhatsApp, in quanto può costituire piena prova dinanzi al Giudice.
IN CHE MODO SI POSSONO PRODURRE IN GIUDIZIO LE CONVERSAZIONI WHATSAPP?
Appurato che, come pacifico per la giurisprudenza maggioritaria, le conversazioni WhatsApp possano avere valore probatorio in un procedimento civile – in caso di riconoscimento di debito, di separazione o divorzio, ecc. –.
Occorre capire in che modo le stesse possano materialmente essere prodotte.
Sul punto, la Corte di legittimità ha confermato che la trascrizione delle conversazioni WhatsApp può avere probatorio unicamente nel caso in cui venga acquisito anche il supporto – figurativo o telematico – contenente la registrazione oggetto della trascrizione.
Siffatta acquisizione ha la finalità primaria di verificare l’effettiva autenticità e paternità della conversazione informatica trascritta.
In sostanza, attraverso l’analisi del supporto telematico e/o figurativo si può verificare che la trascrizione della conversazione WhatsApp che si vuole acquisire come prova, non sia stata manomessa.
Con il deposito di tale supporto – che può essere una chiavetta USB contenete la conversazione estratta dall’applicativo, lo screenshot della conversazione, ovvero lo smartphone direttamente – il Giudice potrà affidare ad un consulente tecnico il compito di verificare l’effettiva autenticità e paternità della trascrizione.
In ogni caso, al fine di avvalorare ulteriormente la trascrizione prodotta, la parte ha la possibilità di depositare la relazione tecnica di un consulente informatico, ovvero la copia autenticata dei messaggi WhatsApp – in tal caso sarà necessario munirsi di un’attestazione di conformità della trascrizione o degli screenshot da parte di un notaio ovvero di un pubblico ufficiale.
Va da se che, quanto sopra detto, non si limita unicamente alle conversazioni e chat avvenute via WhatsApp, bensì il discorso può essere tranquillamente esteso anche ad altri applicativi quali: Telegram, Skype, Instant Messaging, Facebook, ecc.